(puntate precedenti: Giovanna, dopo aver distrutto il servizio dei piatti rivela la sua identità, dice di essere Antonietta Portulano, moglie di Pirandello)
Tu sei pazza, Giovanna, tu sei pazza.
Lo dissi, in questo modo, con forza, potenza, cercando la
voce giusta perché la mia asserzione diventasse inattaccabile, una verità
enorme, massiccia, un monolite che si staglia dal suolo e non lascia altre
interpretazioni sulla sua forma. Più che parole volevo che sembrassero una luce
netta sul suo stato alterato, la rivelazione del suo stato, bisognava dirlo,
non c’è molto da nascondere in questo caso, solo da prendere atto della realtà
e trovare un rimedio, per lei, per me, per i piatti rimasti, per i piatti ormai
rotti, per il cappottino avorio-panna, per i pomeriggi a venire.
Si fece una risata da film americano, sguaiata, enorme,
fasulla, non una risata ma una cascata acuta, una nota acuminata, un uncino per
le orecchie, un giudizio di valore sulla mia sentenza, un idrante che
scaraventava acido per incidere sul totem che avevo eretto, ridere per
sfottere, ridere perché il pazzo diventassi io, una provocazione per spingermi
a dire dell’altro, come se il pazzo fossi io, come se la pazza non fosse lei,
come se il suo comportamento non fosse altro che la diretta conseguenza, la
sommatoria necessaria di una serie di addendi che lei – di certo – non aveva
messo in fila, lei la funzione somma di tutte le azioni crudeli che il mondo le
torceva contro e, intanto che la sua
risata continuava, cresceva l’enfasi, la teatralità del suo gesto, gli occhi rossi,
senz’altro avrebbe potuto afferrare altri oggetti per scaraventarli per terra,
oppure dare una manata sul vetro, per romperlo e godere dei tagli sulla mano,
una mano tagliata da portare al pronto soccorso, una mano da refertare, una
minaccia che si materializza nel coinvolgimento di medici che scrivono ore
diciotto, la qui presente Giovanna Principato, lesioni multiple alla mano
destra da vetro, estrazione di cocci, chissà quanti punti. E l’ombra della
violenza subita, del comportamento violento del marito, io, il marito che
chissà cosa ha fatto e la moglie ora recita la parte di quella che è caduta
dalle scale e ha rotto la vetrata, oppure è scivolata sul tavolino in vetro del
salotto mentre passava lo straccio, chi ci crede a queste cose, nessuno, tutti
sono furbi, tutti capiscono, tutti sanno che le cose vanno diversamente, tutte
fandonie per nascondere l’ennesimo caso di violenza, avrebbero fatto di me un
femminicida, uno che ha preso il vetro e lo ha disposto graziosamente
nell’epidermide della mano della moglie, chissà come, forse prendendo la mano e
premendola sui cocci, facendone una mano fachira, poco importa come, a questo
puntava Giovanna, a darmi la certificazione di violento senza che lo fossi.
Giovanna?
(È uscita dalla stanza e si è messa a letto.)
Mi porteresti gli occhiali che ho lasciato in soggiorno?
Dal primo all’ultimo pezzo i piatti finirono nella
spazzatura, Giovanna dispose sul letto tre libri aperti saltando dalla pagina
di uno a quella di un altro, finendo per addormentarsi con gli occhiali
inforcati e la luce accesa.
Giorgio D'Amato