C’è caldo e la minestra è calda,
un suffumigio involontario e non so quanto terapeutico a base di fagioli, che
diavolo mi è passato per la testa di cucinare una minestra di fagioli con
questo caldo. Ma oramai è fatta, occorre
fermezza d’animo e perseveranza persino per ingoiare un cucchiaio di minestra
ma il cucchiaio si sarà trasformato in una pira e non ci penso proprio a
provarci subito, non mi lascerò trasformare in una pira la lingua, mi caschi la
lingua se gli rispondo, non mi lascerò trasformare in una pira dall’ennesimo
litigio, c’è caldo, c’è troppo caldo per prendere fuoco.
C’è talmente caldo che le sue parole non riescono a cadere nel vuoto, mi sembra di vederle galleggiare sull’afa e sul vapore che si muove imperturbabile sopra i nostri piatti, e allora tiro su gli occhi, per guardarlo in faccia, voglio vedere la sua faccia dietro le sue parole galleggianti sull’afa, la sua faccia dentro il mio silenzio liquido, e tiro su gli occhi, laterale, più che guardarlo lo infilo per un attimo nell’angolo sinistro del mio cono visivo, non voglio che si accorga che lo sto guardando e infatti non se ne accorge, il novanta per cento della sua attenzione è posta in stand-by dal caldo, il resto è distribuito a simmetria variabile tra la televisione e il piatto, le sue stesse parole non gli appartengono già più, non può più vederle né sentirle, guarda la televisione e mescola, soffia e sorbisce, a gesti ciechi dentro un vaporoso silenzio umano, il mezzo televisivo satura il nervo acustico a moduli ordinati.
C’è talmente caldo che le sue parole non riescono a cadere nel vuoto, mi sembra di vederle galleggiare sull’afa e sul vapore che si muove imperturbabile sopra i nostri piatti, e allora tiro su gli occhi, per guardarlo in faccia, voglio vedere la sua faccia dietro le sue parole galleggianti sull’afa, la sua faccia dentro il mio silenzio liquido, e tiro su gli occhi, laterale, più che guardarlo lo infilo per un attimo nell’angolo sinistro del mio cono visivo, non voglio che si accorga che lo sto guardando e infatti non se ne accorge, il novanta per cento della sua attenzione è posta in stand-by dal caldo, il resto è distribuito a simmetria variabile tra la televisione e il piatto, le sue stesse parole non gli appartengono già più, non può più vederle né sentirle, guarda la televisione e mescola, soffia e sorbisce, a gesti ciechi dentro un vaporoso silenzio umano, il mezzo televisivo satura il nervo acustico a moduli ordinati.
Nel suo taglio standard il
telegiornale dell’una e mezza pare un bollettino di guerra, la gente è pazza ha
solo voglia di aggredire, vecchi aggrediti, mogli aggredite, extracomunitari
aggrediti, coste aggredite dagli scafi in fuga dagli inferni non occidentali,
coste aggredite dagli occidentali in fuga dagli inferni metropolitani, la politica non va in vacanza, il crimine non
va in vacanza, la cronaca non andrà in vacanza, sarà un’estate calda, si
preannuncia un autunno caldo, e fa caldo, fa troppo caldo persino per
immergersi nel mare magno delle consuetudini a incastro, pranzo con la tv, cena
da amici, estate da tua madre al mare, turismo in autunno, tutto perfettamente
a incastro, nel mare di banalità che ci arreda casa, con la vasca a
idromassaggio e il caminetto, per caldi caldi inverni come in una eterna
settimana bianca, tutto a incastro,
nell’incastro di un meccanismo che si inceppa un po’ di più ogni giorno ma oggi
no, non te lo so dire e non me lo riesco a raccontare, forse perché c’è caldo o
forse perché dopotutto sto imparando a ingoiare, con fermezza d’animo e
perseveranza, bocconi caldi e freddi, e male parole come calci in faccia.
«Ma buona questa minestra, amore, ce
n’è ancora?»
Patrizia Sardisco